Ma quanto si guadagna con questa strategia?

Ogni tanto mi arriva qualche email o messaggio in privato in cui mi chiedono:

 

Ma quanto guadagna questa strategia mediamente?

Si possono vedere dei risultati storici degli ultimi anni?

Hai un track record della performance di questi mesi?

 

Alt, fermi. Calma e sangue freddo. 

 

Queste domande sono legittime e comprendo la curiosità genuina di chi le pone, ma rispondere è molto più complesso di quello che sembra e potrebbe essere controproducente.

 

Le analisi di performance infatti devono essere sempre contestualizzate:

  • su quali mercati?
  • in quale periodo storico?
  • su che timeframe di riferimento?
  • con quali parametri operativi?
  • con quali impostazioni di money management?
  • etc.

 

Ti faccio un esempio banale. 

Chiedere così a bruciapelo se una strategia è profittevole è come chiedere se in Francia si mangia bene. Avresti una risposta molto vaga e priva di significato.

 

Se invece mi chiedi se a Nizza ci sono dei ristoranti con menu per celiaci, che siano aperti di lunedì, nel periodo invernale, nella fascia di prezzo 30-50€ e con possibilità di parcheggio nelle vicinanze, allora la risposta può essere più precisa.

 

Che cosa posso rispondere quindi a chi mi chiede quanto rende una strategia, senza creare false illusioni o aspettative infondate?

 

Le mie strategie sono sempre impostate in modo parametrico con una chiara definizione dei parametri di funzionamento. 

 

Questo approccio mi ha permesso di far sviluppare  creati degli Expert Advisor che replicano in maniera automatica la strategia stessa. 

 

La performance della strategia dipende quindi dai parametri di input che regolano l’impostazione dei segnali di ingresso, di target e di stop, il money management, la scelta del mercato e dei timeframe.

 

A seconda delle combinazioni, si possono ottenere risultati differenti. 

 

La valutazione di questi risultati è un fattore soggettivo, che dipende dalle preferenze di ogni trader: ad esempio, il trader A preferisce una combinazione con WIN% del 70% e risk reward 1:1, mentre il trader B preferisce una combinazione con WIN% del 45% ma un risk reward di 3:1. 

 

Inoltre, la profittabilità dipende dal mercato considerato. Se analizziamo i CFD su azioni, avremo circa 300 risultati differenti, uno per ogni titolo considerato. 

 

Infine, la profittabilità statistica è soltanto una storia del passato, e non una previsione del futuro.

 

Ecco perché suggerisco di familiarizzare con la versione demo e di testare le diverse combinazioni, fino a trovare quella più soddisfacente. Si tratta di un processo di messa a punto nel quale intervengono molti fattori personali, che non possono essere generalizzati.

 

Diffidate dei valori dichiarati da chi fornisce una strategia (manuale o automatizzata) e cercate sempre di verificare personalmente come funziona quella strategia e che risultati procura.

 

Non sto dicendo che i dati storici siano falsi o inventati, anzi. Vi sto dicendo invece che sono inutili, sono poco significativi e anzi vi possono indurre nell’errore di sottovalutare la parte di personalizzazione e di autovalutazione.

 

Per questa ragione, sul mio blog o nei miei webinar o nei miei interventi come speaker dal vivo non mi sentirete mai dichiarare i parametri di performance delle mie strategie. 

 

Voglio che sia tu a valutare da solo i risultati che ti puoi aspettare e quindi prendere una decisione consapevole.

 

Lo so, è un approccio diverso da quello di molti altri formatori o analisti o esperti di trading, ma è l’unico modo per metterti in grado di valutare personalmente, senza condizionamenti.

 

Se hai acquistato uno dei miei videocorsi oppure desideri testare una versione demo dei miei EA, scrivimi una mail a info@diarioditrading.it e ti spiegherò come fare per ottenere una licenza di prova gratuita.

Lezioni di piano (una divagazione domenicale)

Uno degli aspetti insidiosi del trading è che non esiste un percorso formativo preciso, univoco, delineato. Esistono decine di corsi, libri, video, contenuti online, attraverso i quali ognuno si ritaglia il proprio percorso di formazione e apprendimento individuale. Tra l’altro, si possono trovare molte risorse anche gratuitamente online, non solo su questo sito ma anche su quelli di altri esperti, sui social o su YouTube.

Ma c’è un’ombra insidiosa che aleggia sulla formazione, e cioè l’equivoco tra insegnare a fare trading e insegnare a guadagnare soldi. Non è la stessa cosa. La prima si può insegnare, la seconda un po’ meno. Ed è un equivoco che aleggia su tutti i formatori, lo dico per esperienza diretta dato che ho tenuto diversi corsi, sia online che dal vivo.

Immaginate di prendere lezioni di piano. L’insegnante vi può insegnare la teoria della musica, come leggere uno spartito, tutta la tecnica dello strumento, farvi fare esercizio con le scale e i solfeggi. Tutto qua.

Se invece volete diventare dei virtuosi e tenere concerti, oppure comporre canzoni e sinfonie, quello dipende da un talento e da una ispirazione individuale che non si possono insegnare né trasmettere. Nemmeno per emulazione o imitazione.

Vi faccio un esempio più pratico, restando in ambito trading. Se io spiego a 10 persone una strategia daily chiara e semplice, e chiedo loro di farmi la simulazione di questa strategia su un foglio Excel con lo storico daily degli ultimi 3 mesi, mi aspetto di ricevere alla fine della simulazione 10 risultati uguali. Se così non fosse, vuol dire che non ho spiegato bene la strategia, oppure che ci sono dei margini di discrezionalità.

Ma se chiedo alle stesse 10 persone di operare con la stessa strategia su un conto real per 3 mesi, mettendo 10.000€ di tasca propria, state pur certi che alla fine del periodo ci saranno 10 risultati differenti, tanti quanti sono gli individui, perché l’operatività reale è condizionata dalla nostra personalità, a livello di emozioni e convinzioni.

Ho smesso da tempo di chiedermi se e quanto guadagna un formatore o un coach, tanto so per certo che i miei risultati e i suoi, anche a parità di metodo, saranno sempre differenti. Piuttosto, cerco di concentrarmi sugli aspetti di disciplina, equilibrio, atteggiamento mentale, che possono fare la differenza tra gain e loss sul mio conto.

Non sto dicendo che l’analisi tecnica o la formazione siano superflue, anzi sono necessarie e imprescindibili. Ma non sono sufficienti. La differenza è un quid individuale, che non è scritto nei libri ma dentro di noi, e purtroppo è scritto in una lingua molto difficile da comprendere.

C’è sempre un Fibonacci!

Prendo in prestito un simpatico tormentone coniato da un amico trader, per introdurre un ragionamento che vale per Fibonacci, ma non solo.

 

I livelli di Fibonacci sono un indicatore, quindi uno strumento a disposizione del trader per supportare la sua operatività. Fin qui, tutto ok.

 

In linea teorica, la questione potrebbe essere riconducibile ad una sola e semplice domanda: ma i livelli di Fibonacci funzionano oppure no?

 

Sempre in linea teorica, se si potesse dare una risposta chiara e definitiva a questa domanda, la questione sarebbe già chiusa.

 

Purtroppo le cose non sono così semplici. Non c’è il bianco o il nero, non c’è solo il SI o il NO.

 

Ci sono due problemi, uno riguarda la DOMANDA e l’altro riguarda la RISPOSTA.

 

Partiamo dalla domanda.

 

LA DOMANDA

 

Chiedersi se i livelli di Fibonacci funzionano oppure no, è piuttosto vago.

 

Premesso che Fibonacci è vissuto a cavallo del 1200 quando la Borsa nemmeno esisteva, e si è limitato a formulare una serie matematica. Non aveva la minima idea delle possibili implicazioni sui grafici dei prodotti finanziari, che sono frutto di una applicazione successiva, in epoca moderna.

 

Ma il punto è che prima di chiedersi se funzionano, bisogna stabilire COME intendiamo usarli. Prendiamo come esempio un grafico daily di EURUSD: che cosa ce ne facciamo del livelli Fibo?

Potremmo usarli come target per la chiusura di posizioni controtrend. Immaginiamo di operare SHORT dopo il massimo in A (non importa con quale trigger e con quale livello di ingresso); allora potremmo avere come obiettivo il raggiungimento del 50% in B o del 61% in C.

 

A quel punto, potremmo analizzare quante volte raggiunge B, ma senza superare A. O senza superare A al rialzo di un valore superiore al target AB.

 

Ma potremmo anche usarli come target per aprire posizioni LONG, cioè aspettiamo che ritracci fino al 50% per entrare long in B. Oppure fino al 61% per entrare long in C.

 

A quel punto, potremmo analizzare quante volte raggiunge il livello D, oppure quante volte raggiunge il livello E, sullo stesso livello del massimo A.

 

Sono due casi molto diversi, che corrispondono a due domande diverse, che avranno risposte diverse. E qui la questione si complica, ma potremmo cavarcela facendo due analisi parallele e distinte: una per le operazioni controtrend e una per le operazioni a favore di trend.

 

Ma in ogni caso, come si formula la domanda? Quando possiamo dire “Sì, funziona”?

 

Quando la condizione è verificata almeno il 70% delle volte? Oppure ci accontentiamo del 60%?

 

Ma non è solo questione di percentuale di segnali validi. Bisogna anche considerare altri parametri.

 

Quanto vale il risk reward di quel segnale? Ad esempio, se uso B per entrare long, cosa succede quando arriva in C? Chiudo in stop prima di C, oppure metto uno stop al 70% di ritracciamento?

 

A seconda delle impostazioni della domanda, cambia la risposta.

 

Per dire se una strategia funziona oppure no, ci sono molto parametri da considerare, non basta fornire la percentuale di segnali chiusi in profitto.

 

…Si può considerare il risk reward.

…Si può considerare il rapporto tra il profitto medio e la perdita media.

…Si può considerare il rapporto tra il profitto massimo e la perdita massima.

…Si può considerare la durata dell’operazione

(e la lista non termina qui)

 

Tanto per complicare le cose, tutti questi parametri potrebbero cambiare a seconda del mercato. Oppure considerando lo stesso mercato, ma su timeframe differenti.

 

Tanto per complicare ancora le cose, bisogna scegliere che peso dare a ciascuno di questi parametri: potrei scegliere di dare una importanza elevata al risk reward e considerare gli altri come corollari. Oppure di dare lo stesso peso a tutti i parametri e dare un punteggio ponderato.

 

Insomma, chiedersi se Fibonacci funziona oppure no è una domanda piuttosto complessa.

 

Ma se è complicato formulare la domanda, può essere ancora più insidioso il modo in cui scegliamo la risposta.

 

Parliamo quindi della risposta.

 

LA RISPOSTA

 

La farò breve. Per dare una risposta a questa e ad altre domande, ho due possibilità: una scelta EMPIRICA e una scelta FIDEISTICA.

 

La prima scelta, quella empirica, è fare analisi, test, verifiche e simulazioni, finché arrivo ad una conclusione valida. Ci vuole tempo, ci vuole fatica, e soprattutto è un lavoro noioso.

 

Ma che bisogno c’è di farsi un mazzo tale, quando trovo le risposte già pronte in qualche libro?

 

Ecco la scelta FIDEISTICA: la seconda opzione è prendere per buono quello che dice una fonte autorevole. Cioè mi scelgo un maestro, una guida, uno che ne sa più di me (o almeno così reputo) e mi fido di quello che dice lui.

 

Questa è una scelta razionale ed economica, nel senso che mi permette un risparmio di risorse. Non ha senso mettersi a fare da capo tutto il lavoro che è già stato fatto da qualcun altro, quando posso partire dalle sue conclusioni. Che bisogno c’è di inventare di nuovo la ruota?

 

Il punto è che, come spesso succede, troverò sostenitori di entrambe le tesi. E quindi dovrò scegliere a chi affidarmi.

 

Se A mi dice che Fibonacci funziona e B dice di no, scelgo tra i due quello che mi ispira più fiducia. Oppure quello che mi ha dato più spesso informazioni valide.

 

Oppure scelgo A semplicemente perché nel mio ambiente B non è presente, e quindi non ho possibilità di entrare in contatto con il suo punto di vista.

 

Oppure perché B è molto più autorevole di A, ma B è inglese e il suo libro non è ancora stato tradotto nella mia lingua.

 

In conclusione, la mia scelta della guida o del maestro o della fonte autorevole è limitata alle informazioni e ai punti di vista disponibili all’interno del mio ambiente.

 

Ed ecco che ritorniamo all’esperimento sociologico.

 

Nessuno di noi si sta veramente domandando se Fibonacci funziona o no. Stiamo semplicemente “pesando” le affermazioni dei sostenitori e dei detrattori.

 

Nel pesare questi interventi, più che valutare il contenuto stiamo valutando il nostro apprezzamento personale verso chi scrive (o chi parla). Questo pesa di più della evidenza logica della sua tesi, anche se non ce ne rendiamo conto.

 

L’espressione “sono d’accordo con te” spesso non significa “mi piace quello che dici” ma “mi piace come lo dici” oppure “mi piace chi me lo dice”.

 

Oppure osserviamo il consenso di cui gode un esperto: se è seguito da molti, la sua credibilità aumenta. Se ogni volta che scrive due righe lo prendono in giro, allora non presteremo attenzione alle sue parole. Cialdini la chiama “riprova sociale”.

 

Non c’è niente di male in questo, fa parte del nostro modo di interagire con il mondo attraverso le relazioni con gli altri.

 

L’importante è rendercene conto.

 

E ricordiamoci che, ogni volta che usiamo un pattern per fare clic sul grafico, lo stiamo usando perché quel tizio che ce lo ha spiegato era così simpatico. Davvero una gran brava persona…

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